Nelle creazioni fotografiche di Roberto Goffi (Torino 28 aprile 1948), l’ideazione si coniuga non soltanto col meditato uso dell’obiettivo e delle sue oscure pertinenze, ma con i più preziosi processi chimico-fisici nei quali si destreggia con stampe al bromuro e al platino su carta, tessuti e marmi, in un repertorio figurale nel quale emergono soprattutto le simboliche corrispondenze d’un mondo ben bilanciato tra artificio e natura.
La sua personale, nella galleria l’Aleph 19-30 aprile 1994), intitolata “Comme de longs échos”, rifacendosi al poeta dei Fleurs du mal, propone una cadenzata successione di temi sui quali ha lavorato: i cieli (in Ciba) ch’egli inserisce nella più ampia ripresa terragna di verdi erbe e viti vergini, o nel fitto fogliame fotografato di primo mattino, ancora intriso di algide rugiade, a far da sfondo, come in un arazzo millefiori, a quei suoi squarci di limpidi cieli che, soprattutto nel 1993, hanno costituito per Goffi non solo un elemento compositivo ma un vero punto di naturale riferimento di ispirata simbologia.
Lo stesso accade quando, nelle notturne riprese tra i corsi e le vecchie fontane torinesi, Goffi ritrae i tronchi centenari, a tratti scortecciati, o l’argentea superficie d’un parenchima vegetale segnato dalle tensioni delle sue ramificazioni.
Un nudo femminile di schiena, in Capitello, coinvolge l’immagine quasi modellata nell’elemento plastico di un’architettura: un’idea, tutto sommato, antica se si pensa ai monumenti medioevali di innumeri chiostri e portali, ma qui risolta con un senso di squisita modernità. Per questo, forse, nel suo collocamento l’opera fungeva quasi da cerniera tra la prima e la seconda parte dell’esposizione nella quale le “corrispondenze” si palesavano puntualmente tra strutture arboree e figure antropomorfe.
Anche visivamente su un piano macroscopico le squame d’una pigna di Picea Excelsa si confrontavano con l’elegante movimento d’una pianta di un giovane nocciolo (Corylus Avellana) e il mezzo busto, di spalle, di Cinzia con i più sottili rimandi al marmo di Eva e Venere, stampa la platino su tela, offerti quasi come punti di fuga.
Se Eva, che sa quasi d’un delicatissimo cammeo, col suo fondo oro che contribuisce ad illuminare il tornito incarnato in cui non a caso si mescolano certe cadenze di Cranach, Ingres e Klimt, condensa ogni sottile erotismo, Venere è un capolavoro di castigatezza. Dal negativo, la stampa sul tessuto mediante i sali di platino, si risolve in una forma essenziale, assolutamente stabile, del piccolo nudo stante, delicatamente evocato nelle trasparenze d’una atmosfera appena appena colorata da qualche macchia di the.
In pochi anni abbiamo visto Roberto Goffi, architetto e fotografo professionista dal ’76, passare dalle fotografie documentarie di spettacoli teatrali e di concerti ai piùsuggestivi temi sull’architettura e l’opera d’arte in genere sino al Design, per polarizzare la sua ricerca espressiva tra i “marmi e veli alchemici” esposti da Salzano, a Torino nel 1987, e gli “artifici” con cui riapparve a “Il salto del Salmone” nel ’93 ed erano esperienze che si collocavano, a detta dello stesso Goffi, “verso le zone di confine, i passaggi di stato, le linee eutettiche, … le aree fintamente rappacificate, con qualcosa che senti scivolare via e non riesci ad afferrare ed incasellare”.
Angelo Dragone 1994