IL ’900 IN FOTOGRAFIA
Lo spazio e l’uomo, due ricerche contigue dell’ultimo ventennio del secolo
… Per Roberto Goffi il raffronto delle problematiche individuali con quelle più generali dell’uomo è condizione necessaria ma non sufficiente per impostare il problema della conoscenza e soprattutto quello di una possibile attribuzione di senso alla vita; il suo io, nel confrontarsi con la storia, trova risposte tutt’altro che rassicuranti e, nel pessimismo che ne consegue, trova rifugio salvifico solo nell’amore, quell’amore totalmente disinteressato che – come indica Crocifissione in rosa – il Cristo ha mostrato nei confronti dell’intera umanità con il sacrificio della propria vita sulla Croce. Il titolo dell’opera appena menzionata – realizzata in un rigoroso chiaroscuro – ne indica chiaramente la natura non referenziale, costringendo inevitabilmente a una lettura allusiva e simbolica. La complessa figura in croce non è infatti quella del Cristo, e neppure maschile; gli espliciti riferimenti corporei catalizzano infatti l’attenzione sulla donna, non su una sola, scelta quale tramite o pretesto epifanico della figurazione, ma su una molteplicità di figure che, sovrapponendosi nell’impersonalità di volti privi di individuali caratterizzazioni fisionomiche, esprimono la coralità di un sentimento e di un patire tutti femminili e insieme di un amore elargito sempre senza riserve, con generosità che non aspetta ricompensa; un patire lungo come la storia dell’umanità e dalla continuità ininterrotta, rinnovato in tutti i possibili tipi di violenza e oggi divenuto quanto mai tangibile per noi italiani per i genocidi etnici della vicina ex Iugoslavia. Le modalità della comunicazione si affidano oltre che al linguaggio fotografico a quello letterario della parola scritta, non ricusano l’utilizzo di materiali altri ed esibiscono una precisa volontà di creare un oggetto d’arte esteticamente significante; l’effetto finale, tipico delle tensioni più umanamente impegnate della fine del millennio, è infatti quello di un superamento netto e radicale della barriera fra le arti, con la scelta e l’opzione di forme raffinate e colte, quanto mai lontane dalla volgarità piatta e banale della comunicazione via etere.
Il tono, lontano dall’enfasi della certezza, è pacato e sommesso: afferma, ma poi, incerto, rimane in attesa di risposta. Pur rimanendo alto e forte l’urlo della sofferenza non è esclusa la possibilità del conforto che può venire da voci diverse e insieme separate; il semplice respiro del visitatore, il minimo contatto anche involontario con l’opera, scompagina le gelatine e le loro figurazioni, le fa brillare nella luce per ricomporle poi in maniera leggermente diversa e non sempre perfettamente prevista.
Le medesime coordinate umane e oggettuali riaffiorano anche in un recentissimo lavoro di Goffi, ancora in corso di esecuzione, sulle porte dell’inferno, in cui l’indignazione personale per i mali della terra e per l’egoismo che li genera fa tutt’uno con la terribilità punitiva del divino e si esprime nei toni alti e drammatici dell’inferno dantesco. Le sue opere, vere e proprie installazioni spesso tridimensionali, pongono il problema della loro definizione, un problema che – accentuato nell’autore, come in diversi fotografi del panorama internazionale, dall’uso di tecniche fotografiche antiche o desuete, nonché dalla creazione di veri e propri pezzi unici – focalizza l’attenzione sulla tendenza dell’arte attuale che spesso non riconosce più alcuna gerarchia fra le varie e numerose tecniche artistiche, anzi le usa indifferentemente e con estrema disinvoltura, con l’unico scopo di visualizzare l’idea o l’emozione che sono alla base dell’opera. …
Marina Miraglia 2001