Crocifissioni in Rosa
Il lavoro indaga alcuni passi di testi sacri, dalla Bibbia al Corano, la cui interpretazione nelle nostre società patriarcali ha suggellato la sottomissione femminile; si discende fin quasi ai giorni nostri con la legislazione sul diritto di famiglia e sui reati contro il buoncostume (infatti fino a pochi anni or sono i reati sessuali contro la donna rientravano nella categoria dei reati contro il buoncostume). Questi sono stati stampati su schegge di vetro, che è un materiale terribile quando entra nella carne, ed usati come spuntoni che si protendono verso un corpo femminile quasi idealizzato, formato da vari brandelli di donne stampati su frammenti di gelatine fotografiche. Come frutto di questa violenza sull’essere femminile, nel grembo vi sono fotografie di infibulazioni, feti di aborti clandestini, uteri perforati…
Insieme a questi vetri vi sono, però, alcuni dagherrotipi con poesie di Baudelaire, di Verlaine, di Hikmet, che pur essendo allineati con gli oggetti taglienti, pur essendo esse stesse spietate, aprono uno spiraglio a modo loro positivo.
Le gelatine fotografiche, leggerissime e quasi immateriali, sono appese a fili di nylon sottilissimi e quasi invisibili, e rispondono col loro movimento al passaggio dello spettatore.
Materiali: legno, ferro, gesso, vetro, dagherrotipi, gelatine fotografiche
Dimensioni: cm. 360x290x145
Anno : 1999
Esposizioni:
1999 – Castagnole Monferrato, chiesa di S. Salvatore per la mostra “Percorsi”;
1999 – Venezia, Palazzo Querini Dubois, per Venezia Immagine. Salone della fotografia Storica, Moderna e Contemporanea;
2001 – Roma, Palazzo Trevi, per la mostra “Sguardi e Immagini. Fotografia a Torino 1980-2000” in occasione della presentazione del libro “Il ‘900 in fotografia” di Marina Miraglia;
2008 – Alessandria, Cittadella, per la Biennale di Alessandria, videofotografia contemporanea – Shapes of time – dove ha ricevuto il Premio della Critica
Rosy Crucifix
I have been analyzing some passages taken from Holy books, out of the Bible and the Koran, whose interpretation has sealed women’s submission, at least in our patriarchal societies; the same exegesis concerns the present time vis a vis family rights and public morality. Those very passages have been printed on glass splinters, a fearful and painful material when, if it penetrates the flesh, spikes aiming at a nearly idealized female body, a sort of collage of female figures printed on fragments of photographic emulsions. As a result of this violence on “woman” I printed shots of infibulations, perforated uteruses, faetuses of illegal abortions…
Along with these very glasses, I placed some daguerrotyps with poems by Baudelaire, Verlaine, Hikmet: though aligned with cutting objects being themselves cruel. The poems are meant to open up a positive gleam.
The very light and nearly impalpable photographic emulsions hang from hardly visible nylon threads. With their gentle and restless movement they interact with the movement of the onlooker.
Materials: wood, iron, chalk, glass, daguerrotypes and photographic emulsion.
Dimensions: cm 360x290x145
Year : 1999
Di fronte a Crocifissioni in Rosa
Di fronte a Crocifissioni in Rosa, allontanandoci e approssimandoci in quel movimento infinito che Baudelaire nei suoi Salons – e noi stessi ogni volta che incontriamo un’opera – identifica come il viatico necessario per il nostro contatto con le arti, ci rendiamo conto di un fatto sorprendente: che quest’opera è incredibilmente profonda. Nel senso che non riusciamo ad attraversare fisicamente la sua profondità, e che il suo spazio è così profondo che non possiamo raggiungerlo. La osserviamo intensamente, tenendoci a una distanza per noi possibile, e come una paralisi e un desiderio ci colgono insieme. Siamo di fronte a questa crocifissione, immobili come la figura che rappresenta, e non abbiamo ancora terminato il nostro viaggio attraverso la sua profondità. Qualcosa ci trattiene nello spazio, fecondamente, e in quello spazio in cui questa crocifissione ci trattiene, nel suo interspazio, qualcosa accade. Una metamorfosi che è la stessa che accade nell’opera, che non cessa di trasformarsi. I materiali che Roberto Goffi ha scelto si trasformano, anche contro la sua volontà, così come la figura che rappresentano, che è immagine per eccellenza della trasformazione e della trasfigurazione, non cessa di modificarsi attaraverso tutte le sue iridescenze, le sue iscrizioni, le sue fessurazioni, la sua incerta anatomia, le sue lacerazioni e le sue inclusioni di fronte a noi, sospesi, forse sorpresi. Ma mentre questa trasformazione si compie di fronte ai nostri occhi, un’altra trasmutazione accade, insensibilmente. Una trasformazione che riguarda noi. Crocifissioni in Rosa, mentre si trasforma, trasforma il suo spettatore, questo stiamo apprendendo ora. Per cui non si tratta più di uno spettatore. Non è fisicamente possibile, infatti, restare spettatori dinanzi a Crocifissioni in Rosa. Si è improvvisamente, lentamente trasformati, prima che sia possibile rendersene conto. Chiamati entro il suo spazio a un processo indefinibile, forse riluttanti, trattenuti e al tempo stesso tenuti a distanza, crocifissi e trasfigurati. Per questo lo spazio di quest’opera è propriamente sacro, e quest’opera è un’opera sacra. Non perché rappresenta un soggetto sacro, ma perché è essa stessa il sacro. Sacer nella Roma antica è lo spazio separato del templum, contrapposto allo spazio profanum. Il senso di incomprensibile impenetrabilità che trasmetteva l’opera all’inizio è ora comprensibile. Come sacer era il recinto sacro del tempio che non poteva essere oltrepassato, allo stesso modo quest’opera non può essere attraversata. Se il sacro è avvicinato in modo impuro diviene maledetto, questo è il duplice significato di sacer. Il suo misterioso, ipnotico interdetto ci appare ora come la sua stessa sacralità. E’ questo il segreto che Crocifissioni in Rosa nudamente e impenetrabilmente espone. Per questa ragione quest’opera è così pericolosa. Perché ci espone, chiamandoci irresistibilmente a sé e insieme tenendoci a distanza, a tutto il rischio di ciò che è propriamente sacro – toccandoci senza che noi la possiamo toccare. Guido Brivio di Bestagno
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